L’UFFICIO DELLE TENEBRE

Scritto il 29 Marzo 2024 da Virginia Gidiucci

Foto di Luigi Izzo, Ufficio delle Tenebre di Sessa Aurunca

La settimana che precede la Domenica di Pasqua è ricca di celebrazioni religiose come di riti tradizionali, alcuni più diffusi geograficamente ed altri più localizzati. Uno di questi riti, di cui ad oggi non rimane traccia nel panorama delle usanze pasquali, è storicamente attestato e diffuso nell’Italia centro‐settentrionale, oltre che in Francia e in Spagna, e è inserito nella celebrazione del Mattutino delle Tenebre. Le Tenebre (dal latino Officium Tenebrarum o Tenebrae), rappresentano l’elemento celebrativo dei mattutini e delle lodi degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il sacro Triduo pasquale, dal XIII secolo anticipate di una sera, dal Mercoledì al Venerdì Santo. La celebrazione dell’ufficio liturgico osservava un rituale arcaico: “Caratteristica della liturgia delle tenebre era l’estinzione dei lumi, provocata per “significare le tenebre prodigiose che alla morte del Redentore coprirono tutta la terra”” (Grassi; 1990). La celebrazione richiedeva la presenza di un particolare candelabro dalla forma triangolare detto Saettia (“Saetta”) posto alla destra dell’altare e recante tredici o quindici candele (il numero varia a seconda dei casi riportati) in pura cera vergine d’api, divisi parimenti per ognuno dei due lati più una centrale. “La candela isolata rappresenta Cristo, le altre dodici gli apostoli” (Polia; 2012). Al termine di ogni salmo, una dopo l’altra venivano spente tutte le candele lasciando accesa solo quella al vertice: “Il rito ricorda la terribile agonia sofferta da Gesù nell’Orto degli Ulivi, quando tutti gli apostoli si addormentarono lasciandolo solo” (Polia; 2012). Quest’ultima candela veniva prelevata dal candelabro e nascosta ancora accesa nei pressi dell’altare; al canto del Benedictus si procedeva a spegnere ogni forma estranea di illuminazione; così le Tenebre erano rievocate e, nella semi oscurità, i ragazzi che assistevano alla funzione, armati di legni o verghe, iniziavano a battere furiosamente il pavimento e le panche di legno più prossime all’altare provocando un enorme fracasso.  E’ facile immaginare che genere di baccano incontrollato si generasse da questa usanza, tanto da costringere la Chiesa a porre delle limitazioni sempre più astringenti alle celebrazioni. Il rito della battitura appare come un’”intrusione popolare” nel sistema religioso; l’antropologo francese Arnold Van Gennep afferma che il rito dei Mattutini delle Tenebre “sebbene generato dalla liturgia, si è poi sviluppato in senso nettamente folklorico” (Grassi; 1990).

L’usanza, che prendeva il nome di “battisterio” o “battistero”, era molto diffusa nei territori di Camerino e Fabriano (“lu vattisteru”).

“Serbo ancora il fanciullesco ricordo non solo delle sgradevoli e stonate battistàngole, ma anche del fragoroso battistero che il mercoledì, giovedì e venerdì i ragazzi facevano in chiesa, percotendo violentemente con bastoni tavole e panche, a ricordo della flagellazione di Cristo, e, dicono, con intenzione di applicare altrettante bastonate ai “perfidi” giudei, in punizione del deicidio da loro commesso” (Crocioni; 1951).

“Così, appena suona il mattutino delle tenebre, si vedono bambini più o meno grandi, dar di piglio a bastoni di ogni grossezza e dimensione e recarsi frettolosamente in chiesa. In alcuni posti invece essi percuotono le panche con i rami degli ulivi benedetti nella domenica delle Palme (nel Fermano). Ora che non c’è più la saetta con le dodici candele da spegnere, i bambini seguono attentamente i sincronici movimenti degli officianti e aspettano con pazienza tra tanti salmi, che il parroco s’alzi e spenga tutte le luci della chiesa (Pioraco). Allora iniziano il fracasso indiavolato del Battisterio sulle povere panche più vicine all’altare. Il rito sta a simboleggiare “le 6666 battiture date, giusta la volgar credenza, al Nazzareno.” Per dirla col Marcoaldi, e si protrae per gli altri due mattutini delle tenebre del giovedì e del venerdì santo” (Eustacchi‐ Nardi; 1958).

“A Castel di Croce (Rotella) il Venerdì Santo, quando si leggeva la Passione, i bambini usavano battere il pavimento della chiesa con un “vince”, un ramoscello di salice, ma facevano un tale baccano che spesso il prete era costretto a prendere uno di quei ramoscelli e a colpirli sulla testa per farli smettere.

A Carrassai, “lu battisteru” aveva luogo il Mercoledì Santo: i ragazzi battevano furiosamente il pavimento della chiesa mentre il sacrestano tirava su le tovaglie dall’altare (“le mantilette”).

In Umbria, la tradizione vietava di usare verghe di sambuco per il “battistero”, perché a quell’albero si sarebbe impiccato Giuda” (Polia; 2012).

In molti luoghi il battistero veniva effettuato mediante i ramoscelli di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme; molti usavano battere sulle panche anche i libri liturgici. Ad Offida l’usanza era detta “vattenziere”. Un testimone ricorda che da bambino, interpellato il prete riguardo alla celebrazione dell’ufficio delle Tenebre, costui spiegò: “… Erano quindici candele e rappresentavano undici Apostoli cari a Gesù [escluso Giuda] più tre Marie [Maria di Magdala, Maria di Cleofa e Maria di Nazareth], per un totale di quattordici. La quindicesima candela, la più grande, stava a rappresentare Gesù”. Allo spegnimento delle quattordici candele minori ed occultata la quindicesima nella sagrestia, aveva inizio “lu vattenziere”: “E poi … Si comincia a far rumore con qualsiasi oggetto sui banchi … Ecco, pare di rivedere quegli uomini percuotere e insultare Gesù, lo uccidono … Trema la terra, si fa buio su tutto il mondo … Finisce il rumore, si vede il lumicino poco prima nascosto. E’ la Luce, è Gesù che risorge e sconfigge la morte … Ricordo solo che da bambino, il Giovedì Santo, stavo seduto davanti alla Bara e battevo forte un bastone su un qualcosa di metallico … I fedeli mettevano la loro offerta e io … riprendevo a battere cercando nuove offerte …” (testimonianza di Fortunato Vallorani, Offida).

Ad incuriosire gli antropologi è stato soprattutto il significato inscritto in questi strepiti nel fragoroso battistero prodotto da legni e strumenti di ogni tipo, a giudicare dalla varietà descritta nella documentazione storica dell’usanza. Da parte degli ecclesiastici del XVII secolo, il valore assegnato al rito consisteva nel produrre un forte impatto emotivo sui fedeli e sugli esecutori del rito stesso, come esperienza diretta della passione e la morte di Gesù Cristo. Attraverso il gesto del battere ed il rumore prodotto dall’attrezzo, la Chiesa si avvaleva di un contributo folkloristico per rafforzare una “partecipazione memoriale emotivamente e sentimentalmente intensa (sensus pietatis)” alla celebrazione. “Per questo motivo – supponiamo – il rito era importante per la Chiesa, tant’è che, nonostante gli strepiti degenerassero in abusi che a taluni parevano dettati dal diavolo, il rituale continuò ad essere prescritto dalla liturgia cattolica” (Grassi; 1990).

Se da alcune testimonianze emerge come l’azione della battitura riproduca simbolicamente la fustigazione subita da Gesù Cristo, la sua ripetizione è interpretata dagli esecutori del rito come espressione di espiazione. L’atto di battere il pavimento o una tavola di legno nasconde in sé l’intenzione di infliggere una punizione ai peccati, più che i peccatori. Comparando gli usi di diverse culture non è difficile individuare esempi di riti che si basano sull’azione del battere con l’effetto di scacciare e tenere lontani mali ed energie negative da luoghi e persone. E’ probabile che fosse credenza diffusa che le verghe utilizzate per percuotere il pavimento della chiesa durante i mattutini delle Tenebre si caricassero di un particolare potere preservativo e fossero efficaci per la protezione di uomini, case e bestiame da streghe, fascinazione ed altre entità maligne. A rafforzare questa teoria è doveroso indicare l’ammonimento suggerito nelle “Decisiones prudentiales” del XVII secolo da Prospero Domenico Maroni da Cagli, nel caso in cui la condanna morale è rivolta a “Le donne che raccolgono le bacchette, con le quali si fa il battistero il mercoledì, giovedì e venerdì santo, al mattutino, per tenerle in casa, o sotto il letto, dicendo che le streghe non possono accostarsi alli letti de fanciulli né offenderli” (Crocioni; 2001).

Per completare l’ottica con cui andrebbe contemplata l’usanza del “battistero” è necessario citare la ricerca dell’antropologo britannico Rodney Needham nel saggio “Percussion and transition” (1967), in cui indaga la corrispondenza tra l’azione della battitura e la comunicazione ultraterrena. “La relazione tra suoni percussivi e contatto con il mondo dei morti è secondo Needham così diffusamente attestata che è impossibile darne una spiegazione storica, farla cioè risalire a una tradizione culturale specifica. Egli sostiene che quanto più un fenomeno culturale assume una dimensione universale, tanto più è necessario ricercare le sue basi nei caratteri psichici comuni al genere umano” (Grassi; 1990). Il genere di rumore prodotto dai legni battenti durante l’ufficio delle Tenebre si inserisce nella categoria di suoni percussori individuati dall’antropologo e contribuisce ad amplificare la suggestione emotiva nell’essere umano partecipante. Needham evidenzia inoltre come i mezzi percussivi vengono usati in molte situazioni che hanno come caratteristica in comune quella di essere “riti di passaggio” (nascite, iniziazioni, matrimoni, riti lunari, feste calendariali, ecc …). “La classe dei produttori di rumore di tipo percussivo risulta dunque associata al passaggio formale da uno status o condizione ad un altro, e l’esatta formulazione del problema è quella che pone in relazione percussione e transizione. Che anche la morte di Cristo sia da inserire nella categoria della transizione è dimostrato dal significato che a tale evento è attribuito da tutta la tradizione del pensiero cristiano” (Grassi; 1990). L’ufficio contempla totalmente l’immagine della transizione dalla vita alla morte, “delle tenebre del peccato e della luce della redenzione”. Il rito arcaico è praticamente scomparso quasi ovunque con le riforme del XX secolo; rimane vivo in alcune zone del sud Italia, nel Gargano, nel Salento e nel Casertano, ed in poche altre situazioni del centro‐nord, sostenute soprattutto dall’impegno delle confraternite locali.

Bibliografia:
Crocioni G., “La gente marchigiana nelle sue tradizioni”, Edizioni Corticelli, 1951
Crocioni G., “Superstizioni e pregiudizi nelle Marche durante il Seicento”, Ripostes, 2001
Eustacchi‐Nardi A. M., “Contributo allo studio delle tradizioni popolari marchigiane”, Lìbrati, 2014 (ristampa del 1958)
Grassi L., “I mattutini delle Tenebre, un rito e i suoi significati”, in Quaderni storici 74/a. XXV, n. 2, agosto 1990
Polia M., “L’aratro e la barca. Tradizioni picene nella memoria dei superstiti” Vol. I, Lìbrati, 2012
Immagine:
Autore: Luigi Izzo
Fonte: Settimana Santa di Sessa Aurunca
Fonti orali:
Fortunato Vallorani di Offida 

 

Virginia Gidiucci

Virginia Gidiucci nasce nel 1989 a San Benedetto del Tronto dove vive tuttora. Diplomata in Scenografia all'Accademia di belle arti di Urbino, lavora ad Ascoli Piceno come costumista per la Compagnia dei Folli. Grazie alla sua passione per la montagna...
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