Parco Nazionale dei Monti Sibillini
Negli ultimi anni abbiamo monitorato la famiglia di lupi composta dagli otto individui di cui ci ha parlato il nostro Stefano Ciocchetti nel suo libro “Dentro una nevicata” - scritto a quattro mani con Margherita Buresta.
Ci colpì subito la situazione del maschio alpha, la zampa posteriore sollevata e stretta in un laccio metallico. Per quasi due anni lo abbiamo visto stoico ma zoppicante in testa al branco, poi di loro più nessuna traccia. Qualche giorno fa è stato fotografato dal nostro team un lupo solitario con una vistosa storpiatura. Subito abbiamo capito che si trattava di lui, Treppiedi – così lo abbiamo battezzato. Le falangi non ci sono più, una ferita ora è ben visibile e la coda tra le zampe è presagio di una perdita di rango.
Che fine ha fatto il branco? Che possibilità di sopravvivenza ha Treppiedi? Bisogna intervenire?
L’Occhio Nascosto dei Sibillini lo ha chiesto a Federico Morandi, veterinario del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.
A prima vista sembrerebbe un animale spacciato e mal messo, quali sono in realtà le condizioni di questo lupo?
Contrariamente a quello che ci aspetteremmo in un carnivoro con una lesione di tale portata, il soggetto sembrerebbe mostrare un discreto stato di nutrizione, almeno stando a quanto si evince dalla foto. Questo potrebbe anche trovare motivo in due aspetti fondamentali della vita di un lupo: 1) Essere un animale sociale. Il lupo, a parte eccezioni, vive in un nucleo familiare e parte della propria esistenza dipende dal gruppo stesso. Esistono esempi in cui animali anche con menomazioni gravi come questa sopravvivono, nutriti dal nucleo familiare. Ciò può avvenire non necessariamente in modo attivo, ma anche solo perché il soggetto è tollerato e si può nutrire con il cibo che il nucleo stesso si procaccia. Lesioni così gravi possono far retrocedere nella gerarchia del nucleo familiare qualora l’individuo fosse il capobranco; 2) Essere un opportunista. Il lupo non è un cacciatore puro ma un opportunista, pertanto in ambienti particolarmente antropizzati come i nostri, in cui le possibili fonti alimentari di origine antropica sono molteplici, il lupo riesce anche in assenza del nucleo familiare a trovare sufficienti approvvigionamenti.
Quante possibilità ha un esemplare ferito in questo modo di sopravvivere in natura?
Una volta superata la fase acuta della malattia – che di per sé non deve essere quindi letale – ciò dipende dalle possibilità di approvvigionamento che potrà ricavare dal nucleo sociale di appartenenza o dall'ambiente. In questo caso, l'esemplare sopravvive da ormai due anni nonostante il passaggio, senz'altro doloroso, delle fasi che hanno portato alla perdita delle falangi.
Perché un’eventuale cattura per cercare di curare l’animale è difficilmente attuabile in questi casi?
Le operazioni di cattura sono molto lunghe ed i problemi sottostanti sono molteplici. Uno fra tutti è rappresentato dai metodi: questa specie non può essere catturata con una gabbia trappola. I metodi non cruenti più utilizzati ed ammessi dalle convenzioni internazionali sono trappole a ganascia o associate a lacci metallici – dal riadattamento di tecniche utilizzate dai cacciatori di pellicce. Perché la cattura vada a buon fine devono presentarsi diverse condizioni, non favorite dalla elevata diffidenza di questa specie, che spesso si acuisce in un soggetto in difficoltà ma ancora reattivo. Inoltre, deve essere catturato un preciso esemplare in un territorio spesso frequentato da più soggetti. L’allestimento dei siti di cattura viene eseguito in aree frequentate dall'esemplare target, ma quest'ultimo può avere areali ben più ampi ed essersi spostato prima di essere catturato. L'eventuale intervento con un lanciasiringhe in un bersaglio relativamente piccolo come un lupo non può essere impiegato oltre 18-20m. Il bersaglio deve essere fermo e, qualora colpito, impiega dai 2 ai 5 minuti per subire l'azione dei farmaci, tempo durante il quale potrebbe percorre diverse centinai di metri e rendere difficile o impossibile il recupero.
Anche qualora si riesca nella cattura, si deve essere consapevoli che si sta operando su un animale di cui non si conosce la situazione clinica. L'intervento deve pertanto portare con sé la coscienza che lo stesso abbia un valore per la popolazione tutta e non per il singolo esemplare. Un intervento su un soggetto in difficoltà in una specie come il lupo, seppur questa difficoltà consegua ad attività (anche illegali) dell'uomo, trova una ragione solo per il singolo animale che nel caso di specie, considerato che lo stesso è sopravvissuto per due anni dalla causa della lesione, potrebbe portare più svantaggi che vantaggi. Infine, in questa fase della lesione potrebbe non essere possibile alcun intervento che possa migliorare le condizioni del soggetto.
Due anni fa questo esemplare era a capo di una famiglia composta da otto individui, come mai ora è da solo?
Il fatto che sia stato ripreso da solo ed una sola volta, non vuole necessariamente dire che lo stesso sia sempre da solo, potrebbe fare difficoltà a seguire da vicino il nucleo familiare ma comunque raggiungerlo e tenersi con esso in contatto oppure essere, realmente, divenuto un esemplare solitario. Ciò potrebbe essere meglio compreso continuando nel tempo il monitoraggio dell'esemplare e del territorio da esso frequentato ed essere ragionevolmente confermato se venisse sempre visto da solo ed in prossimità di fonti trofiche di origine antropica.