Episodio 3 della rubrica "Oltre i confini del Parco"

Scritto il 12 Luglio 2021 da Andrea Monti

Qualche tempo fa un video realizzato da un mio caro amico ha fatto il giro del web: un video eccezionale, che vedeva 7 lupi sfilare davanti alla sua fototrappola, sulle colline nei dintorni di Castorano.

Tralasciando il fatto che il video non è stato messo online da lui ma da un’altra persona, tralasciando il fatto che questa persona lo ha fatto senza chiedere il permesso al diretto interessato e sorvolando anche sui toni sensazionalistici e inutilmente allarmanti che questa persona ha usato (invasione di lupi), ho voluto cogliere questa occasione per parlare un po' della specie che seguo ormai da qualche anno ai confini del Parco Nazionale dei Sibillini e che potrebbe tornare a farsi vedere anche nei dintorni di Colli del Tronto vista la vicinanza con Castorano.

Tranne che in alcune zone di Italia, nel nostro territorio la presenza del lupo viene ancora vista come un qualcosa di “anormale”, solo un possibile pericolo per l’uomo e per le sue proprietà. Pensieri che vengono rafforzati da avvistamenti sempre più frequenti nei dintorni dei paesi rispetto, per esempio, a 50 anni fa. Ma è vero che “prima” (un tempo passato non ben definito) il lupo non c’era? In parte è vero: alla fine del 1960 il lupo era in Italia sull’orlo dell’estinzione con un centinaio di esemplari stimati in tutta la penisola, concentrati perlopiù nelle zone più remote tra Marche e Abruzzo. Quindi se si prendesse come punto di riferimento questo minuscolo arco temporale sì: i lupi “prima” non c’erano e adesso sono tanti o “troppi” (troppi rispetto a cosa?).

Sono diventati “troppi” perché dal 1971 la specie è stata tolta dall’elenco di specie nocive (che rendeva la sua caccia aperta tutto l’anno con qualsiasi mezzo), nel 1976 fu inserita tra le “specie protette” ed infine nel 1992 fu inserita tra le “specie particolarmente protette” classificando la sua uccisione come reato. Ma perché sono state fatte queste modifiche con decreti ministeriali e leggi? Perché si uccideva una specie già rara e praticamente impossibile da vedere? Ma soprattutto perché c’erano così pochi lupi? Proprio il lupo, il principe dell’adattamento e canide per eccellenza, canidi che trovano casa in tutti gli ecosistemi del pianeta dalla gelida Alaska ai torridi deserti arabi, dalle grandi radure tibetane alle immense paludi brasiliane, creando a volte specie e sottospecie diverse con caratteristiche particolari che ne favoriscono la sopravvivenza, era sull’orlo dell’estinzione nella penisola italiana, uno dei territori più ricchi di biodiversità sia animale che vegetale al mondo, con una concentrazione di ambienti diversi più unica che rara.

Evidentemente qualcosa non torna. E se spostassimo l’arco temporale preso come riferimento poco sopra di altri 50 anni, oppure di altri 100 e così via finché si ha voglia, cosa succederebbe? Scopriremmo che il lupo, in realtà è di nuovo presente in gran numero! L’apice della catena alimentare, il predatore europeo per eccellenza trovava in tutta Italia un territorio assolutamente ideale, da sempre. Che cosa ha portato allora questa specie a ridursi di numero così drasticamente? Purtroppo la risposta non può che essere una sola: l’uomo. Le vecchie favole del lupo cattivo così come il detto “in bocca al lupo” sono in realtà figlie di un retaggio culturale di secoli di uccisioni e caccia al lupo, culminate nel ‘900 in vero e proprio sterminio anche a causa dell’estrema riduzione del proprio ambiente dovuto al boom industriale e demografico del paese e usato spesso come capro espiatorio per crisi economiche e politiche locali. Proprio il detto “in bocca al lupo” è sinonimo di “fortuna” perché veniva rivolto a chi uccideva il lupo per professione: il luparo.

Si augurava al luparo di trovarsi faccia a faccia con la sua preda e la risposta “crepi il lupo” era l’auspicio di riuscire ad ucciderla. I lupari infatti tornavano poi trionfanti nei vari paesi e chiedevano ricompense a tutti per ogni lupo ucciso, come se avessero liberato la gente da un demone primordiale. Insomma non era solo legale uccidere lupi, era anche sinonimo di maestria e coraggio oltre che un vero e proprio lavoro per alcuni. Questo è il motivo per cui lo Stato Italiano decise di proteggerlo, riconoscendo l’enorme valore biologico che ha il predatore all’apice della catena alimentare nella regolazione naturale e sostenibile di tutto l’ecosistema, un ruolo che nessun altro avrebbe potuto garantire. Una volta protetti, i lupi sono pian piano (in realtà abbastanza velocemente) aumentati negli ultimi decenni e stanno tornando ad essere in buon numero.

Proprio per questo gli avvistamenti sono più numerosi soprattutto nei periodi invernali quando i giovani si spostano con i genitori e gli individui di qualche anno vanno in dispersione alla ricerca di nuove aree. Stiamo semplicemente tornando alla normalità e prima la considereremo tale prima riusciremo in modo lucido ed oggettivo ad adattarci a questo grande ritorno. In ultimo vorrei sfatare alcuni miti che circolano spesso intorno alla specie. Al contrario di queste voci, il lupo non è mai stato oggetto di reintroduzioni da parte dell’uomo e quindi il suo aumento di numero è del tutto naturale. Il lupo non è una specie infestante, ha un grosso territorio che difende dall’introduzione di altri lupi e il numero del branco, una volta stabilizzato, è direttamente proporzionale al numero di cibo e prede a disposizione.

Non ci saranno mai più lupi di quanti il loro territorio riesca a sostenerne. Il problema “pericolo per l’uomo” in Italia non esiste: non sono mai stati registrati attacchi predatori di lupo all’uomo, il lupo scapperà ben prima che una persona distratta riesca a vederlo: ovviamente rimane un potente predatore e se messo alle strette potrebbe sicuramente usare la forza per difesa, così come qualsiasi altro animale di grossa taglia, ma questo potrebbe accadere solo se a monte c’è un comportamento umano sbagliato, consapevole o inconsapevole. Discorso diverso invece per gli allevatori, persone che dal lupo possono subire un danno economico, in molti casi quando le greggi non sono protette adeguatamente (tenendo in considerazione l’aumento della specie) o non protette affatto: questo è l’unico reale problema, un rischio, un effetto collaterale che non si può negare e che deve essere assolutamente risolto o comunque arginato tramite adozioni di protezioni migliori, cani adeguati, risarcimenti celeri e una corretta divulgazione.

Ovviamente tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma problemi politici, amministrativi ed economici non possono trasformare una scelta ecologica ed ambientale giusta e lungimirante come la protezione del lupo, in una scelta sbagliata.  La scelta giusta era e giusta rimane, soprattutto alla luce degli studi sempre più numerosi che mettono in diretta relazione la qualità dell’ecosistema e la sua biodiversità con la qualità della vita dell’uomo. Inoltre, salvaguardare il lupo non comporta necessariamente problemi per gli allevatori: la convivenza è possibile, come dimostrano tante aziende del nostro territorio come la Sopravissana dei Sibillini che con numerosi cani e recinti adeguati riesce a proteggere il proprio bestiame nonostante si trovino in un territorio molto frequentato dai lupi. Una questione di adattamento anche per noi insomma, lo stesso adattamento che è alla base dell’evoluzione e della sopravvivenza di ogni specie animale e vegetale sul pianeta e che forse ci stiamo un po' dimenticando. Ma come si può ben immaginare, è più facile addossare tutte le colpe al “lupo cattivo” delle favole che si raccontavano in un tempo neanche troppo lontano piuttosto che prendersi le proprie responsabilità in questo campo, qualunque esse siano. 

Andrea Monti

Andrea Monti, nato nel 1991 ad Ascoli Piceno, è laureato in Scienze giuridiche applicate. Amante della natura fin da bambino, ha compiuto molti viaggi in giro per il mondo cercando ogni volta di entrare in contatto con la parte più...
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