Da amante degli animali e fotografo naturalista sento spesso la necessità di stare il più lontano possibile dal caos del mondo antropico: è quindi paradossale per me trovarmi ora a raccontare di ombrelloni, spiagge e chalet di San Benedetto del Tronto nel mese di Giugno, stagione estiva all’insegna della ripartenza post covid. Non potevo però perdermi la nidificazione di un fratino proprio sotto un lettino di uno stabilimento balneare a pochi km da casa: un uccello in fortissima diminuzione (si stima una perdita del 50% delle coppie solo in Italia) a causa della riduzione del suo habitat d’elezione, le spiagge. Spiagge che vengono occupate quasi completamente da ombrelloni e turisti, concerti ed eventi e che, involontariamente ma in modo diretto, vanno di fatto ad impedire la riproduzione di questi uccelli. In genere nidificano tra le dune poco frequentate dall’uomo oppure in spiagge libere dove, grazie all’aiuto di associazioni e volontari si cerca di proteggere le uova con reti e cartelli informativi.
Raramente e solo in passato si erano visti a San Benedetto (nella Riserva naturale Sentina), praticamente impossibile pensare che potessero scegliere lo chalet Lido Sabbiadoro per la deposizione delle uova: per fortuna il gestore è stato molto sensibile alla situazione permettendo la posa di una rete comprendente ben tre ombrelloni per evitare che le uova potessero essere calpestate. Grazie a questa attenzione dopo circa un mese sono nati 3 piccoli pulli di fratino che si sono subito messi a gironzolare e a correre tra lo stabilimento e quelli adiacenti. I pulli di fratino sono infatti nidifughi, cioè lasciano il nido (un piccolo infossamento nella sabbia) immediatamente dopo la nascita riuscendo con le loro lunghe zampette a spostarsi rapidamente nonostante abbiano le ali non ancora sviluppate. Ed è qui che, dopo essermi rallegrato del buon esito della covata e dopo aver chiesto il permesso al gestore dello stabilimento di poter andare all’alba tra i suoi lettini, decido di provare a documentare la crescita di questi piccoli sapendo che, dopo un mese avrebbero poi preso il volo: dovevo sbrigarmi!
Sono andato a trovarli per la prima volta il lunedì, dopo che i pulli avevano vissuto il primo caotico fine settimana degli umani. Le speranze di trovarli ancora erano sinceramente basse, molto basse, ma erano lì: alle 5 del mattino i primi raggi del sole iniziavano a riscaldare un piccolo uccellino dalla testa nera accovacciato proprio tra gli ombrelloni e poco dopo tre batuffoli sbucavano da sotto di lui iniziando a scorrazzare qua e là. Mi sono sdraiato e con tutta calma mi sono goduto lo spettacolo dei loro primi goffi passi, di come si cercassero ogni decina di minuti per tornare all’ombra del genitore, il tutto con lo sciabordio del mare ad isolarmi da tutto il resto: per la prima volta ho provato le stesse sensazioni dei miei appostamenti in montagna nonostante fossi in uno stabilimento balneare. Dopo essere stato con loro per circa 3 ore decido di andarmene e tornare la mattina successiva sempre alla stessa ora: erano sempre lì e mi sembrava quasi di conoscerli da una vita. Ho sistemato il treppiede, ho acceso la macchina fotografica e sono stato con loro per diverse ore, fino a quando non ho visto i primi bagnanti fare capolino sul bagnasciuga.
Per quanto sia difficile da immaginare, i pulli sembravano già più impavidi e si allontanavano di più dai genitori, iniziavano a cercare cibo tra la sabbia e si muovevano in modo più coordinato facendomi capire che stavano crescendo bene. Le difficoltà per questi minuscoli uccelli erano però dietro ogni angolo e solo alla fine di questa seconda mattinata con loro sono riuscito a capirlo: frammenti di plastica o filtri di sigarette potevano essere ingeriti, le reti potevano immobilizzarli e le buche più grandi rischiavano di diventare trappole mortali. Perfino le passerelle risultavano un grosso ostacolo da superare per i piccoli, costringendoli a fare avanti ed indietro a lungo per trovare il punto più basso dove scavalcare per raggiungere la mamma che era proprio aldilà di questa “lingua” in plastica. Come se non bastasse, durante gran parte del giorno le spiagge sono molto frequentate motivo per cui avrebbero dovuto trovare un riparo tranquillo e isolato nel bel mezzo del lungomare di San Benedetto del Tronto: una missione praticamente impossibile.
Ma il pericolo più grande era rappresentato da predatori opportunisti come le cornacchie grigie e i gabbiani che, proprio alle prime luci dell’alba razzolavano fra gli ombrelloni alla ricerca di briciole ed avanzi e che non avrebbero esitato a mangiare un piccolo pullo di fratino. Proprio mentre ero lì con loro infatti, il genitore ha notato un corvide in avvicinamento: emettendo un verso diverso da quello abituale, ha abbandonato i piccoli cercando di attirare l’attenzione del grosso volatile su di lui. I piccoli, al contrario di quanto avevo visto fino a quel momento, sono rimasti assolutamente immobili, allarmati dal verso del genitore: questa è la loro unica arma di difesa in quanto il loro piumaggio si mimetizza molto bene con la sabbia rendendoli quasi invisibili se visti dall’alto. Quando la cornacchia se ne è andata il genitore è tornato dai piccoli che sembravano molto felici di rimettersi sotto le sue ali.
Insomma c’erano pericoli ovunque ed in ogni momento della giornata ma il primo finesettimana lo avevano superato, sarebbero cresciuti in fretta e, in poche parole, il peggio era passato. Questo ho pensato quando me ne sono andato quel martedì mattina, convinto che la settimana successiva avrei imparato ancora di più da loro. Purtroppo mi sbagliavo.
Il lunedì e il martedì successivi non li ho trovati nonostante ore di ricerca. La settimana dopo avevo individuato un adulto con un solo pullo al seguito in uno stabilimento a qualche centinaia di metri di distanza, per cui sicuramente due dei tre pulli non avevano superato le due settimane di vita. La quarta settimana nessun segnale di presenza e si può affermare con un certo grado di certezza che anche il terzo pullo non ce l’abbia fatta e che la coppia se ne sia andata.
Non nascondo la tristezza e lo sconforto a scrivere queste parole e a rivedere le foto di quei piccoli batuffoli, ma d’altronde si è verificato quello che avevo pensato fin dall’inizio leggendo la notizia di questa eccezionale schiusa: non ce la faranno mai. Troppi i pericoli per i piccoli, troppi i disturbi e lo stress per gli adulti. Ma perché hanno nidificato lì, quando a un paio di km di distanza c’è la Riserva naturale Sentina che comprende anche un area dunale molto selvatica? Perché non sono andati in aree di nidificazione più sicure a sud come Giulianova o a nord al Lido di Fermo? Difficile dare una risposta: personalmente credo che la coppia fosse giovane, magari al primo anno riproduttivo, e che abbia provato ad allargare l’areale di nidificazione della specie cercando di fare il nido in un posto nuovo: nei mesi di aprile e maggio ancora molti ombrelloni non erano stati posizionati e forse hanno visto in questa zona un posto tranquillo senza sapere come sarebbe diventato qualche decina di giorni dopo. È la prova, come se ne servissero altre, che la specie non ha più lo spazio per riprodursi: alcuni aree riescono a garantire una buona percentuale di successo nell’involo dei pulli ma al di fuori di queste gli esemplari che provano ad allontanarsi sono costretti a tentare la sorte in luoghi potenzialmente adatti ma già “riempiti” dall’uomo. Un’ipotesi che mi ha fatto riflettere molto visto che si parla spesso di protezione delle specie animali e di riequilibrare il nostro rapporto con la natura: tutte queste ragionamenti condivisibili dal punto di vista teorico si vanno a scontrare inevitabilmente con la presenza praticamente ubiquitaria dell’uomo sul territorio.
Che senso ha proteggere una specie vulnerabile sperando che possa aumentare di numero se poi non gli concediamo (o per meglio dire, non gli riconsegniamo) dello spazio dove poter stare? Per esempio alcuni comuni vietano l’accesso alla spiaggia libera durante il periodo di riproduzione cosicché i fratini abbiano un luogo tranquillo dove poter crescere i loro piccoli: una rinuncia che però può fare la differenza e che testimonia una sensibilità alle tematiche ambientali assolutamente necessaria ma che purtroppo rimane spesso una isolata eccezione. Non avendo un ruolo ecologico particolare, se il fratino si estinguesse probabilmente non cambierebbe niente a livello ambientale e non porterebbe conseguenze a cascata sul resto della catena alimentare. Sarebbe però l’ennesima specie animale (per non parlare di quelle vegetali) che l’uomo estirpa con forza dai luoghi in cui è insediato solo per un suo benessere spesso effimero. Sarebbe l’ennesima spia accesa nel cruscotto del pianeta che consiglia di fermarci e che nonostante tutto ci ostineremo ad ignorare proseguendo la nostra marcia indifferenti ma, se il nostro pianeta si “rompesse” definitivamente non ci sarebbero meccanici pronti a ripararlo né un nuovo pianeta B da comprare. Proteggere gli ecosistemi e la biodiversità che questi possono garantire è fondamentale non solo per la salute del pianeta in generale ma anche per la salute di noi stessi e per farlo si dovrà prima o poi agire per ridurre i nostri spazi e il nostro impatto ambientale facendo magari un passo indietro, per provare almeno a rallentare questo violentissima distruzione di cui tutti siamo in parte responsabili. Saremo pronti a farlo? Saremo pronti a rinunciare a qualche nostra abitudine in nome di un ambiente più sano in cui vivere? La risposta potrebbe sembrare ovvia sulla carta ma la realtà è ben diversa e dopo questa esperienza in riva al mare, sono un po’ più pessimista del solito.