È strano immaginare come luoghi geografici quali quelli circondati dall’imponente cornice dolomitica debbano la propria fama alla nascita, nel corso del XIX secolo, della Storia dell’arte in quanto disciplina autonoma. Eppure, questi spazi incontaminati vengono valorizzati in concomitanza con l’approfondimento e la riorganizzazione delle questioni artistiche dal punto di vista storico, estetico e letterario, riguardanti, in particolare, la personalità più illustre che questi luoghi possono vantare di aver dato alla luce: Tiziano Vecellio. Sulla scia di una tradizione già avviata nel XVIII secolo, quella del Grand Tour, che vedeva collezionisti, scrittori, appassionati d’arte e giovani rampolli cimentarsi con gli echi nostalgici della nobile e placida estetica classica presente sulla nostra penisola, nel corso della seconda metà del XIX, alcuni di questi, inglesi in particolar modo, affascinati dalla figura di Tiziano e dai paesaggi che facevano da sfondo a molti dei suoi quadri, uscirono dai sentieri già battuti, si allontanarono da Venezia, e si avventurarono verso il suo luogo di nascita, Pieve di Cadore.
Questi, seguendo la moda vittoriana che spingeva a visitare luoghi famosi associati a un artista o a uno scrittore, si lasciarono al contempo inebriare da quel gusto tutto romantico per il sublime che bene si sposava alla verticalità e alla monumentalità delle guglie e delle crode spettacolari che contornavano la terra di Tiziano. I monti cadorini hanno infatti lasciato tracce profonde nell’animo e nella sensibilità del loro figlio prediletto, il quale li ritrae più volte nelle sue opere. La presenza delle Marmarole, che si stagliano grandiose sullo sfondo di Presentazione di Maria al Tempio (1534-1538) ne è l’esempio più lampante, così come lo è la cima sullo sfondo dell’affresco che raffigura San Cristoforo in Palazzo Ducale a Venezia, o come lo sono, ancora, i paesaggi montani di alcune Annunciazioni (Annunciazione della Scuola di San Rocco e Annunciazione Malchiostro).
Tiziano Vecellio, Presentazione di Maria al Tempio (dettaglio)
Fino alla riscoperta della storia di Tiziano, e, soprattutto, fino a che nel 1858 Josiah Gilbert, un acquerellista inglese, non passò per il Cadore, attratto, come i suoi conterranei, dalla figura del pittore cadorino, le dolomiti bellunesi erano pressoché inesistenti nella letteratura di viaggio, o, almeno, non godevano ai nostri occhi del privilegio di cui beneficiano in questo momento in quanto paesaggio culturale.
Cadore, or Titian’s Country fu pubblicato nel 1869, ma, ancora prima, Gilbert scrisse assieme all’amico George Cheetham Churchill, un botanico, The Dolomite Mountains (1864), libro che consacrò le Dolomiti in quanto protagoniste di quel pellegrinaggio che si tratteggiava come la variante alpina del solito Grand Tour. Dal 1861 al 1863, a più riprese, i due, assieme dalle loro consorti, esplorarono ogni valle, dalle Dolomiti Occidentali a quelle Orientali; alle digressioni folkloriche e storiche accompagnarono resoconti scientifici e illustrazioni, promuovendo il territorio come paradiso per gli amanti della natura e come scrigno di leggende e paesaggi mozzafiato, offrendo, contemporaneamente, un’alternativa al resto delle Alpi, quelle svizzere per esempio, ben più famose al tempo, e conosciute come il ‘Playground of Europe’ di alpinisti e scalatori. Fu il libro del 1869, però, a circoscrivere di più l’interesse per un territorio, ancora incontaminato, che aveva molti segreti da svelare. Con la sua personale prassi scrittoria, emozionale e narrativa, Gilbert mirava a intrattenere il futuro turista, e, cercando di investigare una connessione tra le Alpi veneziane e l’arte veneziana, promosse il Cadore come il fulcro di questa unione.
Fu tra i primi, assieme ad altre personalità di spicco della critica d’arte (Eastlake, Ruskin, Cavalcaselle) a paventare l’idea che per i suoi sfondi Tiziano si fosse davvero ispirato a quei rilievi montuosi che gli erano più che familiari. Il libro ripercorre le tappe del viaggio che Tiziano intraprendeva da Venezia verso casa, così come le opere sul territorio connesse con la sua attività, e, non da ultimo, comprende una ricerca attenta dei punti più vantaggiosi da cui si poteva scorgere il presunto scenario riutilizzato dal pittore rinascimentale. In altre parole, attraverso il suo approccio estetico, Gilbert ridisegnò la geografia cadorina innalzando il territorio in quanto scaturigine di scenari appartenenti alla storia dell’arte, e presentando l’immagine romanticizzata di un Tiziano quasi contemporaneo, che riconosce nella montagna quell’elemento più misterioso e nobile del paesaggio, di cui aveva bisogno per risolvere i suoi tumulti interiori. Assieme agli esempi già citati in precedenza, Gilbert ne annovera altri, come il paesaggio della Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Caterina, o la presenza del monte Cridola sullo sfondo di Cena in Emmaus.
Tiziano Vecellio, Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Caterina
Tiziano Vecellio, Cena in Emmaus
Cima da Conegliano, Madonna col Bambino (National Gallery, Londra)
Oltre a queste menzioni e alle riflessioni minuziose in merito, la ricerca dell’artista inglese si estese anche ai disegni di Tiziano, tempestati di montagne, a dimostrazione che l’impronta di questi territori sulla sua pratica artistica meritava un approfondimento, arduo certo, ma che solo lui, andando in quei luoghi in prima persona, ebbe il coraggio di intraprendere. Gli scenari dolomitici pare abbiano guidato anche la produzione paesaggistica di altri pittori della scuola veneta, quali Giovanni Bellini, Cima da Conegliano e Palma il Vecchio, anche questi menzionati e analizzati brevemente. Ad attirare ulteriormente l’interesse del visitatore contribuiscono inoltre le illustrazioni dello stesso Gilbert, che rientrano a far parte di quella pittura di paesaggio che nel XIX secolo diviene in definitiva un genere indipendente. Oltre ai disegni in bianco e nero molto efficaci del Gilbert, nel libro trovano spazio anche i suoi acquerelli, che per i loro colori così tenui da sembrare quasi irreali, sono di una straordinaria sensibilità e di un’impressionante efficacia emotiva, e si prestano a restituire al lettore quell’immagine incantata e fiabesca che da sempre caratterizza la quiete e l’arcano fascino di questi luoghi, ora come ora, invece, sottoposti a un’antropizzazione sempre più impattante.
Nei panni di una sorta di travel blogger ante litteram a caccia di nuovi scenari, Gilbert si compiace nel vagabondare tra le valli strette e i pascoli accoglienti e declivi del Cadore e delle regioni limitrofe e nel deliziarci con aneddoti e descrizioni evocative, lasciando qua e là delle vere e proprie “fotografie” per avvantaggiare l’immergersi del lettore nelle sue riflessioni estetiche e naturalistiche. Oggi le dolomiti bellunesi, e in particolare il Cadore geografico e le aree immediatamente confinanti, per le loro crode singolari e i loro pinnacoli affilati, vantano di avere in percentuale il maggior numero di vette dolomitiche dichiarate Patrimonio Naturale dell’Umanità.
Josiah Gilbert, Il Pelmo dal Monte Zucco
Josiah Gilbert, Auronzo-Val Gravasecca da Malón
Josiah Gilbert, Pieve di Cadore e le Marmarole