Nel mese in cui si celebra l’Ascensione al cielo di Gesù Cristo ci è sembrato d’obbligo dare spazio alla poco approfondita lumaca, un mollusco che ha fatto della silenziosa lentezza la sua caratteristica più nota. Quando pensiamo alla lumaca ce la figuriamo come un essere bi‐componente dal corpo viscido e molle e dal vorticoso guscio che funge da tana e da riparo per il mollusco, le cui capacità naturali lo renderebbero una preda molto facile. Questa non consueta rappresentazione è alla base della percezione che l’uomo ha avuto per la chiocciola durante la sua esistenza, a partire già dal I secolo quando Plinio il Vecchio evidenzia come esistessero le lumache di terra e le lumache d’acqua, entrambe prive di occhi e che si orientano fuori dal guscio con l’utilizzo delle corna retrattili (“Naturalis Historia”, Libro 9, 51).
La stessa caratteristica viene ripetuta nei bestiari medievali, che vedono in questa azione di nascondersi nel guscio un atto di furba codarderia (Pastoureau, 2012).
Nel 1200 dal “Liber de natura rerum” si inizia a percepire la assoluta difficoltà dei naturalisti medievali nel classificare la lumaca che viene inserita sia nel gruppo dei pesci e delle conchiglie che in quello dei serpenti e dei vermi. Tommaso di Cantimpré la cita con i nomi di coclee quando ne parla tra i pesci e con il nome di testudo vermis quando la inserisce tra i vermi. L’autore mette in evidenza una correlazione tra le lumache e la luna, considerando l’aumento di umidità che avviene con la luna crescente e che favorisce la riproduzione della specie migliorandone l’habitat naturale. Collocando invece la lumaca nell’universo dei vermi questa assume le sembianze di un verme tartaruga, un mollusco viscido e strisciante che nasce dalla decomposizione dell’erba durante la stagione umida; nella descrizione del guscio l’autore cita impropriamente Sant’Ambrogio e i suoi studi sulla tartaruga, la quale creerebbe la sua corazza ossea o piuttosto marmorea per mezzo della sua densa saliva che con il calore si consoliderebbe a simulare una pietra (“Hexaemeron”, Libro 6, 4.19).
Una curiosità che rimane incomprensibile è la straordinaria ricorrenza di scontri tra cavalieri e lumache nei marginalia dei manoscritti inglesi del XIII e XIV secolo. La British Library ha indagato l’argomento portando alla luce delle teorie che ancora rimangono poco convincenti di fronte alla massiccia ubiquità dei disegni: come riporta in un articolo “Già nel 1850 il Conte de Bastard, teorizzò che una particolare immagine di una lumaca doveva rappresentare la Resurrezione, poiché la scoprì in due manoscritti vicini alle miniature della Resurrezione di Lazzaro. Nella sua famosa indagine sull'argomento, Lilian Randall ha proposto che la lumaca fosse un simbolo legato al popolo dei Longobardi, un gruppo diffamato nell'alto medioevo per comportamento traditore, peccato di usura e "comportamento non cavalleresco in generale”. Questa interpretazione spiega perché la lumaca è così spesso vista inimicarsi un cavaliere in armatura, ma non spiega perché il cavaliere è spesso raffigurato alla fine perdente di questa battaglia. Altri studiosi hanno variamente descritto il motivo "cavaliere contro lumaca" come una rappresentazione delle lotte dei poveri contro un'aristocrazia oppressiva, un'affermazione diretta della fastidiosa reputazione della lumaca come parassita del giardino, un commento sugli arrampicatori sociali o persino come un impertinente simbolo della sessualità femminile”.
Illustrazione marginale da un salterio. The Rutland Psalter, Inghilterra, c.1260. British Library , Londra
L’impossibilità di trovare una chiave di lettura convincente per la simbologia della lumaca riguarda anche una delle tradizioni marchigiane che si legano alla festa dell’Ascensione.
Nello scorso secolo la celebrazioni per la festa dell’Ascensione erano diffuse in tutte le Marche e “oltre a dar luogo a manifestazioni varie (…) invita ad ascensioni sui monti, spesso erti e scoscesi, caratterizzati da speciali riti, religiosi e no, spesso di antica origine, ed anche inconsciamente superstiziosi” (Crocioni, 1951).
Chiaramente, la salita dei fedeli al monte nel giorno dell’Ascensione del Signore Gesù Cristo era l’analogia di ciò che si celebrava, con una accezione di penitenza che figura nel pellegrinaggio, così “la devozione cristiana ha creato l’abitudine di recarsi il mattino dell’Ascensione su un monte che la tradizione ha poi fissato per ogni singolo paese. Così tutti i villaggi, le città, hanno le loro mete classiche: Monte Lago per i paesi di Pioraco, Sefro, Sorti, Agolla, Copogna, il Monte Trella per Cesi, Serravalle, Castello di Serravalle e Serrasanta per Fabriano” (Eustacchi ‐ Nardi, 1958).
Nell’anconetano uno dei luoghi in cui si riunivano gli abitanti dei paesi vicini era la chiesa di S. Michele Arcangelo sulla cima del Monte Sant’Angelo in Cameliano, presso Arcevia. Qui si ricollega a qualche antica leggenda “la volgare diceria che entro un enorme masso rotolato a valle, detto il Sasso del diavolo, tessa e sia per tessere in eterno, sul suo telaio d’oro, una giovane che il diavolo avrebbe rapita” (Crocioni, 1958).
Questa leggenda si ritrova quasi identica (con la sola viariante che qui il diavolo è sostituito dalla fede pagana personificata da Polisio, governatore di Ascoli nel nome dell’imperatore Diocleziano) nel contesto ascolano del Monte dell’ Ascensione (1110 slm) che richiama un’ascesa “ben più solenne per afflusso di popolo, dalle Marche e dall’Abruzzo”. La tradizione della processione al monte è antichissima, forse anteriore al XIV secolo quanto “Meco del Sacco, fanatico riformatore religioso, capo della società dei Sacconi, specie di flagellanti, conduceva lassù, dove aveva costruito una chiesa, le torbide schiere dei suoi seguaci, per compiere, nella montana solitudine, cerimonie religiose,e, dicono, anche erotiche e sacrileghe, se è vero che la chiesa, riuscita ad averlo nelle sue mani, lo condannò, con molti dei suoi, ad essere arso vivo” (Crocioni, 1951).
Altrettanto antica è la leggenda della Santa Polisia, figli del prefetto romano Polisio, che, convertita al cristianesimo da Sant’Emidio e perseguitata per questo, si rifugiò scappando sul monte dove, non potendo più nascondersi dai soldati del padre, si gettò da una rupe; per intercessione del santo però, la giovane non morì, non nella maniera in cui siamo abituati ad interpretare la morte comunque, ma continua a vivere e tessere in una grotta occlusa da un enorme masso in compagnia di una chioccia e dai pulcini d’oro.
Foto 1° classificata al concorso di fotografia naturalistica 2022 del Gruppo Ambiente San Giorgio delle Pertiche
Tralasciando molti riti ed usanze che si ripetevano ogni anno nel giorno dell’Ascensione, poniamo l’attenzione su uno in particolare che consisteva nel trasporto delle lumache sulla cima del monte ascolano. Nell’intera provincia, infatti, la festività era così sentita da credere che se qualcuno non fosse mai salito sulla cime del monte da vivo sarebbe stato costretto a salirvi da morto trasformato in lumaca. Non si conosce l’origine né il significato di questa credenza, che sembra a tutti gli effetti rappresentare un castigo esemplare: “rendere infinitamente più lenta la salita al monte, e molto più penosa” per una lumaca costretta a trascinarsi sotto il sole che ne dissecca gli umori vitali (Polia, 2012).
Alcuni anziani ricordano come le persone, nella dura salita, “offrivano trasporto” alle chiocciole che, come i sassi, trovavano sul greto del fiume Chiaro salendo da Ascoli; come si trattasse di un favore nei confronti di una bestiola che, agli occhi dei pellegrini, sembrava affaticata dal suo peso e dal suo ritmo lento, non considerando la natura dell’animale che avrebbe preferito di gran lunga essere lasciato libero di strisciare nel terreno umido della valle piuttosto che nell’arsura del pianoro sommitale del monte. Ciò fa capire quanto fosse radicata tale credenza da non essere messa in dubbio ed anzi, rafforzata dalla minaccia della metamorfosi post‐mortem, ma le origini scompaiono nella memoria collettiva in un punto imprecisato della storia.
L’antropologo Mario Polia, interrogandosi sul rapporto tra lumache ed Ascensione, sposta l’attenzione sulla vera protagonista della festività ascolana, la Vergine Maria la quale effige viene portata in processione al posto del Figlio proprio in quella giornata dedicata alla Madre, oggetto di culto durante l’intera giornata.
“Da questa prospettiva, la chiocciola svela un contenuto simbolico molto significativo in quanto associata al ciclo lunare, e dunque al ciclo delle piogge e della vegetazione, per via del segno della spirale formato dal suo guscio. (…) la relazione tra la Vergine e la luna è espressa con chiarezza nell’iconografia mediante l’associazione di Maria con la falce lunare. In Maria, inoltre, la gente delle campagne ha trasposto alcune delle antiche funzioni della Madre Terra. Se così è, “offrire trasporto” alla lumaca significava, alle origini, lasciare sul monte un’offerta specifica propiziatrice della fertilità della terra. All’usanza di portare chiocciole sul Monte dell’Ascensione, si affianca l’uso di ricavare lumini dai loro gusci in occasione della processione dell’Addolorata nel Venerdì Santo: anche in questo caso, ci troviamo dinanzi all’evidente associazione tra Madre/Maria e il simbolo ciclico della spirale rappresentato dalla chiocciola” (Polia, 2012).
Spirali del Neolitico sulle pareti della necropoli di Sa Pala Larga (Sassari)
La connessione simbolica tra spirale e luna è presente già nel Paleolitico, tramite le iscrizioni nelle grotte in cui il significato di spirale è compiutamente espresso. Essa si trova associata a immagini di falci di luna o di animali dalle corna a forma di falce di Luna. Il significato della spirale, attinente alla rappresentazione dei ritmi ciclici della vita, è affine al significato del simbolo lunare. Il movimento ciclico ascendente e discendente visualizzato dalla spirale è paragonabile alle fasi lunari, perciò molto presto il simbolo della Spirale venne associato a quello della falce di luna, come si può constatare in molti manufatti neolitici. Essa è anche un simbolo di energia e di fecondità, legato all’acqua e alla luna. Inoltre, in molte culture essa rappresenta il viaggio dopo la morte.
“Così, nel vertice dell’alto monte, riti pagani e stregonici, convissuti, si mescolano e si incrociano con quelli della tradizione cristiana, come se il culto della casta Diana e delle altre deità boscherecce sia sfociato nel culto della Vergine Madre, nella misteriosa e imperscrutata perennità della storia” (Crocioni, 1951).
Bibliografia:
Crocioni G., “La gente marchigiana nelle sue tradizioni”, Edizioni Corticelli, Milano, 1951
Eustacchi – Nardi A. M., “Contributo allo studio delle tradizioni popolari marchigiane” a cura di Mario Polia, Lìbrati, Ascoli Piceno, 2012 (ristampa 1958)
Pastoureau M., “Bestiari del Medioevo”, Einaudi, Torino, 2012
Polia M., “L’aratro e la barca. Tradizioni picene nella memoria dei superstiti” volume I “I mesi dell’anno: liturgia popolare ascolana”, Lìbrati, Ascoli Piceno, 2012
Sitografia:
bestiary.ca
bl.uk