IL TASSO - IGNARO CACCIATORE DI STREGHE

Scritto il 03 Aprile 2023 da Virginia Gidiucci

Se nell’ultimo articolo ci siamo occupati dell’istrice, indaghiamo oggi le credenze che si sono generate intorno alla figura del tasso (Meles meles), specie che spesso coabitano in profonde tane scavate nel sottosuolo e che hanno abitudini notturne piuttosto simili.

Secondo Isidoro da Siviglia (VII secolo d. C.) il nome latino “melo” sarebbe dovuto al membro molto arrotondato dell’animale (“malum”) oppure dalla sua predilezione nel cercare favi e rimuoverne con cura il miele (“mel”) (Etimologie, Libro 12, 2:40).

A livello culturale il tasso non ha mai riscosso molte attenzioni; a differenza di animali come il lupo, l’orso, il cervo, la volpe o la lepre, il selvatico meles è stato un po’ più trascurato dalle fonti storiche per quanto concerne le sue specializzazioni. Questa evidente realtà rende quindi molto difficile l’interpretazione delle superstizioni popolari che si sono create attorno agli attributi fisici del tasso, ed ogni ipotesi che si possa avanzare al riguardo è da ritenersi una semplice supposizione non supportata da una adeguata documentazione.

Gli amuleti realizzati con il pelo del tasso sono stati così ampiamente diffusi fino a pochissimi decenni fa che sono perfino diventati articoli commerciali, a dispetto della tradizione. La sua diffusione supera le barriere nazionali e si ritrova in moltissime parti dell’Europa, in particolar modo in Spagna, dove il fenomeno è noto e diffuso come in Italia. Le Marche, l’Umbria, la Toscana, il Lazio, l’Abruzzo ed il Molise sono le regioni con le più numerose testimonianze sulle credenze apotropaiche che riguardano l’utilizzo del pelo di tasso come amuleto a difesa della persona dall’attività notturna delle streghe.

Nelle Marche e specialmente nella provincia di Ascoli Piceno, il pelo del tasso era inserito, insieme ad altri elementi dal forte valore apotropaico, all’interno di un sacchetto in lino o cotone, chiamato “lu breve” che veniva messo sulla culla del neonato per preservarlo dalle scorrerie delle streghe, le quali si credeva che durante la notte entrassero furtivamente nelle camere dei lattanti per succhiarne il sangue fino al deperimento. Il termine “breve” sembrerebbe derivare dal nome del lasciapassare, o salvacondotto, rilasciato dalle autorità del Regno Pontificio chiamate “Litterae apstolicae in forma brevis”: “in sostanza chi era in possesso del “breve apostolico” era praticamente sotto la protezione del potere che, a quei tempi, era impersonato dal papa, tanto che chi lo rilasciava in effetti concedeva una garanzia di incolumità (Balena; 1984).Ciuffi di pelo di tasso, fissati da un lato da nastri o altre guarnizioni rosse, colore che veniva associato alla potenza apotropaica del corallo, venivano fissati nelle stalle e appesi alle corna delle bestie. Se la difesa dalle malie delle streghe con il passare del tempo ed i cambiamenti sociali è venuta meno come esigenza, è rimasta una forte superstizione che lega questi elementi animali e non alla difesa della persona dalla fascinazione, quindi dal malocchio e dall’invidia. Tali amuleti (dal latino a-moliri, oggetti capaci di allontanare le influenze nefaste che minacciano la salute della persona) (Polia; 2012), restano presenti attaccati sulle culle o al collo dei neonati non battezzati come protezione dalle insidie demoniache, sui capi di allevamento che vanno protetti dall’invidia altrui, sulle case e sulle persone stesse, che vogliono allontanare qualsiasi energia che possa destabilizzare la pace nelle loro vite. L’uso di un amuleto da portare appeso al collo è ampiamente diffuso in tutte le culture e si perde indietro nella storia. Da sempre testimonia una particolare protezione nei confronti dei neonati, dei fanciulli e delle donne gravide, come nell’antica Roma le madri usavano porre al collo dei figli una “bulla” metallica (medaglione in metalli più o meno preziosi) trascorsi nove giorni dalla nascita che veniva portata per tutta l’adolescenza, al cui interno conteneva minuscole riproduzioni di un falli apotropaici contro le malignità altrui.

I “brevi”, nella tradizione ascolana, contenevano solitamente “sale, peli di tasso o di cane, un “santino”, un dente possibilmente di lupo o una zanna di cinghiale, forse una moneta, una foglia di olivo benedetto, il tutto condito con acqua presa dall’acquasantiera della chiesa (Balena; 1984). Ad Ascoli c’erano dei “brevi” religiosi che venivano confezionati dalle suore, dei sacchetti in stoffa con una piccola croce rossa ricamata all’esterno che contenevano immagini o medagliette religiose, foglie d’olivo benedette e “qualche goccia di cera delle candeline benedette nella Candelora: oggetti appartenenti strettamente al repertorio delle devozioni cristiane, senza deviazioni di tipo magico” (Polia; 2012); ma c’erano anche i “brevi” più magici che religiosi, confezionati dalle “magare” o “strolleche”: “Queste usavano porre nei brevi la terra dei “crocestrada” (crocevia) e il pelo del tasso – purché come prescriveva la tradizione fosse stato regalato da un cacciatore e non acquistato – insieme a un chiodo arrugginito di quelli usati per ferrare i cavalli e qualche foglia di salvia, pianta “che d’ogni male salva” (Polia; 2012).


Una prerogativa che doveva avere il pelo di tasso perché svolgesse un’azione profilattica sull’individuo era che questo non poteva essere acquistato ma doveva essere regalato o procurato cacciando l’animale. Questa credenza invalida il potere che avrebbero quei manufatti commerciali venduti come porta fortuna in molti esercizi commerciali nati negli ultimi decenni.

Quale sia la relazione tra il tasso e la sua presunta capacità di tenere lontane le streghe come altri elementi negativi non è affatto chiaro. Una delle possibili teorie è che ad accomunare le bestiole selvatiche alle streghe vi sia l’ambiente notturno in cui entrambi operano. La donna che si trasforma in strega lo fa con il favore delle tenebre ed è attraverso l’oscurità che si insinua nelle stalle e nelle abitazioni per agire malevolmente su cose, animali e persone, così il tasso esce dalla sua tana al crepuscolo per rientrarvi non prima dell’alba. “Sia la strega sia il tasso sono caratterizzati da una doppia marginalità rispetto al mondo degli umani: quella dell’attività notturna e quella della necessità di vivere tra gli uomini per depredarli per così dire in ombra. La strega è costretta dal suo destino a martoriare ossessivamente i neonati, le donne e gli animali da lavoro ed il tasso dal suo adattamento a saccheggiare nottetempo le colture impiantate dagli uomini: la strega vive tra gli uomini celando di giorno la sua natura, il tasso vive vicino agli uomini nascondendosi di giorno nelle profonde tane sotterranee che è solito scavare nei boschi ai margini delle aree coltivate” (Baronti; 1997).


Nel XII° secolo Geraldo del Galles descriveva il tasso (“melot”) come un animale immondo, che morde con denti aguzzi e che è solito frequentare i monti e le rocce. Fa dei buchi sottoterra nei quali si rifugia e si protegge, graffiando la terra e scavandola con le sue zampe. La caratteristica che colpisce più di tutte è però il modo in cui i tassi lavorano insieme per scavare le loro tane nelle montagne: uno si sdraia all’ingresso della buca tenendo in bocca un bastone, mentre gli altri ammucchiano la terra scavata sul suo ventre. Due tassi afferrano il bastone con la bocca e trascinano via il tasso carico di terra liberando l’ingresso della tana.


Un’altra ipotesi di similitudine che è stata fatta tra il tasso e le streghe è il loro supposto incedere claudicante. Se infatti in diverse culture si ritiene che le streghe siano claudicanti o deformi, un’opinione largamente diffusa, anche se infondata, “ritiene che il tasso sia zoppo, abbia cioè le gambe di un lato del corpo più corte rispetto alle altre e ciò, secondo alcuni, spiegherebbe sia la sua andatura altalenante sia la sua predilezione per le strade transitate, in quanto può sfruttare i solchi lasciai dalle ruote per bilanciare il suo assetto di corsa” (Baronti; 1997). Questa credenza appare già nel XIII° secolo enunciata da Tommaso di Cantimpré nel “Liber de natura rerum”, che descrive il “daxus” come un animale delle dimensioni di una volpe. “Le sue gambe sono corte, non uguali sui lati sinistro e destro, ma più corte sul lato sinistro. Onde avviene che corrono vigorosamente nelle carreggiate che i carri fanno per attrito, con i piedi posti dalla parte destra, e così sfuggono ai loro inseguitori. Ha la pelle pelosa e setole rigide mescolate a peli bianchi e neri. Il suo grasso aumenta man mano che la Luna cresce e diminuisce man mano che cala, così che se viene ucciso nell'ultima fase della Luna, non si trova grasso. Dalla sua pelle si ricavano unguenti, con i quali si leniscono i dolori ai reni e le lesioni agli arti. E questa è una cosa strana, che sebbene la bestia sia da un lato medicinale, tuttavia il suo morso è di solito fatale e molto grave (e questa è la ragione: perché vive rovistando animali che trova per terra, poiché sono velenosi), e poiché i veleni infettano i suoi denti, crediamo che il suo morso sia fatale, sebbene l'esperienza umana abbia dimostrato che anche senza cibo velenoso, i denti di lupi e volpi e molti altri animali sono avvelenati. Onde i morsi dei lupi inferti alle volpi e a molte bestie selvatiche vengono bruciati con ferro rovente, affinché il morso non sia comunque dannoso e contragga la corruzione. Ma il cibo avvelenato, per mezzo della natura interna ben disposta, passa nella materia migliore, e ciò che è da parte del veleno spinge la digestione e purifica il resto, e lo trasmette nel nutrimento della carne per purificarlo. Ed è per questo che la pelle del tasso è medicinale, ma il morso è fatale”.

“Tre grazie” (dettaglio), Raffaello Sanzio, 1503-1504 ca., olio su tavola, Museo Condé di Chantilly

Pur non riuscendo a trovare elementi convincenti che giustifichino la specificità per cui il tasso, o alcune parti di esso, siano stati investiti del valore di difesa magica, se ne riconosce la vastissima diffusione e notorietà e tra le varie testimonianze che ci sono giunte notiamo che in moltissimi casi il pelo di tasso è accostato, nella composizione di amuleti, al corallo, un altro elemento dal fortissimo valore apotropaico e che accentuerebbe i benefici del portatore. In due importanti dipinti dell’arte rinascimentale italiana sono raffigurati quelli che, a parere di alcuni studiosi, sarebbero rappresentazioni e quindi testimonianze iconografiche dell’utilizzo di tali amuleti. Ovviamente è impossibile dire con certezza se i ciuffi di pelo che pendono dal collo delle “Tre Grazie” di Raffaello e del Gesù bambino di Piero della Francesca nella “Pala di Brera” siano appartenuti al tasso o a qualche altro animale, dato che in molti luoghi dove non era presente il tasso le testimonianze ci informano di come si impiegasse ugualmente il pelo di cane, ma rappresenta un’informazione chiara ed attendibile di come la pratica fosse già diffusa nel territorio marchigiano all’inizio dell’età moderna e soprattutto, di come non fosse praticata esclusivamente dalle classi subalterne come invece mostra la più tarda documentazione demologica ottocentesca (Baronti; 1997).

“Pala di Brera” (dettaglio), Piero della Francesca, 1472 ca., tempera ed olio su tavola, Pinacoteca di Brera, Milano

Bibliografia:
Balena S., “Folklore piceno”, Edit, Ascoli Piceno, 1984 
Baronti G., “Le insidie della notte. Note sull’impiego di parti del corpo del tasso europeo (Meles meles L.) a scopi protettivi e apotropaici”, articolo in “AM. Rivista della Società italiana di antropologia medica” n. 3-4 Ottobre 1997, pp. 145-218
Polia M., “L’aratro e la barca. Tradizioni picene nella memoria dei superstiti”, volume II “Il sacro quotidiano”, Lìbrati, Ascoli Piceno, 2012

Virginia Gidiucci

Virginia Gidiucci nasce nel 1989 a San Benedetto del Tronto dove vive tuttora. Diplomata in Scenografia all'Accademia di belle arti di Urbino, lavora ad Ascoli Piceno come costumista per la Compagnia dei Folli. Grazie alla sua passione per la montagna...
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