Ogni volta che entro al Rifugio, il luogo dove svolgo volontariato e che accoglie tanti animali riscattati dalle peggiori situazioni- macelli, maltrattamenti, sperimentazioni, abusi e abbandoni – inevitabilmente vengo rapita a lungo dal prato degli ovini. Per una gran parte del tempo ci guardiamo: da parte mia per osservare le pecore, riconoscerle, verificare che non ci sia nulla di eclatante su cui dover intervenire, e sicuramente aspettando il momento in cui poter affondare la mano nel loro sofficissimo vello, da parte loro per decidersi a trovare il momento migliore per avvicinarsi tra un brucare e l’altro; oppure, nel caso delle capre, decidono che io debba grattare loro vigorosamente la testa e le corna. Mi piacciono tantissimo gli ovini, nella loro “campanilistica” differenza… Delle pecore amo la mansuetudine ma anche l’odore lanoso, lo stesso che mi rimanda a quando lavoravo il feltro, lo stesso che d’un tratto individuo durante le escursioni là dove, al mattino presto, sono passati i mufloni selvatici; delle capre amo quell’immagine bucolica e mitologica suggerita dai loro unghioni, la varietà dei loro mantelli, le corna calde sotto il sole… Di tutte mi colpisce molto la loro pupilla orizzontale, che mi fa subito pensare a uno sguardo aperto a grandangolo che spazia libero su vallate e scogliere. E ogni volta questo mi fa pensare a quanto l’amore per gli animali sia incontenibile e irrimediabile… pensi di avere una passione per i selvatici ma senza contraddizione sai di averne altrettanta per gli animali cosiddetti da cortile o domestici… Ogni incontro porta infinite osservazioni, considerazioni, riflessioni e insegnamenti, da ogni animale nella sua peculiarità e specificità. A tutti gli ovini dedico questo brano di un libro che personalmente ho trovato geniale, “Glennkill” di Leonie Swann; perché possano essere tutti al riparo da qualsiasi abuso e sfruttamento e vivano felici la loro vita:
“Il giorno seguente le pecore sperimentarono un mondo nuovo, un mondo senza pastore e senza cane da pastore. Esitarono a lungo, prima di decidersi a lasciare il fienile. Ma alla fine osarono uscire all’aria aperta, guidati da Mopple The Whale, che come al solito aveva fame. Era una mattinata bellissima. Di notte le fate avevano danzato sull’erba lasciando migliaia di perle d’acqua. Era come se il mare fosse stato lisciato di fresco – azzurro, chiaro, senza increspature- e nel cielo si potevano vedere alcune nuvolette lanose. Secondo la leggenda, queste nuvole erano pecore che un giorno si erano spinte oltre l’abisso, pecore elette, che continuavano a pascolare in cielo e non venivano mai tosate. A ogni modo, si trattava di un buon segno”.