Ti ho visto, e sembrava che lo aspettassi. La tua sagoma in controluce. Era strano vederti là, a quell’ora, allo scoperto. Ma tu stavi là, in mezzo al prato, inondato di luce. Avevamo parlato di te poco prima. E di tutti gli altri… quando lo sparo ha zittito improvvisamente i nostri discorsi, e il canto degli uccelli, e il ruminare e lo sgrufolare tranquilli. Abbiamo sentito dentro di noi la fitta lancinante del tuo dolore. La tua incredulità. La tua paura. La tua confusione. Di solito sai esattamente cosa fare; ma di fronte a questo no, questa è un’ingiustizia che non ti appartiene, uno scontro ad armi impari, un contro ogni senso per il quale non sei equipaggiato.
Non sapevi più dove andare, come lenire quel dolore, da cosa dover fuggire. Abbiamo voluto sperare che quel colpo fosse andato a vuoto. Tu eri lì, e io ti ho visto, e ho visto come trascinavi a fatica ma con tutta la tua dignità la tua zampa ferita. Una piccola volpe spettinata in controluce, che scompare zoppicando nella boscaglia. E sembrava stessi aspettando per dire che si, ti ha colpito, ma non abbattuto. Si, soffri molto, ma terrai duro, lo supererai. Costruirai la tua ferita e ne porterai i segni. E quando ti rivedrò, ti riconoscerò. Che tu possa guarire le ferite della paura, piccola volpe dagli occhi colore di miele. Sei molto più forte di chi vive nello spregio.