Dingo Unchined

Scritto il 15 Dicembre 2017 da Simona Carmenati

Quando osservo gli animali mi trovo a pensare che, per quanto innumerevoli siano gli studi di biologia e di etologia che hanno indubbiamente posto dei punti fermi scientifici, il nostro rapporto di conoscenza nei loro confronti sia sempre un po’ su un confine nebuloso, sempre pronto a slittare verso considerazioni che vanno al di là della possibilità di avere risposte certe. Questioni di etica e in un certo senso filosofiche che secondo me affiorano in tutti noi di fronte alla natura, in maniera più o meno riconoscibile, oppure confuse nel nostro stupore. Un’osservazione suscita sempre tante curiosità e interrogativi, a cui molto probabilmente si può trovare riscontro nel mare dello scibile; ma in questo caso, a mio avviso, prima ancora del sapersi dare una risposta, è già molto importante porsi la domanda. Uno degli esempi che mi muove a queste riflessioni è il rapporto dell’uomo con gli animali domestici.

E’ un rapporto giusto? Perché ci dà tanta gioia? Ovviamente rifuggo la spiegazione che sia giusto in quanto ci dia tanta gioia, perché nelle mie riflessioni cerco sempre, se mai sia possibile, di avere uno sguardo non antropocentrizzato. L’antropologia, la neurologia, la filogenetica, la biologia evolutiva, tutto concorre a spiegare questo rapporto, ma niente mi soddisfa fino in fondo dal punto di vista, diciamo per semplificare, morale. Facciamo del bene o del male a un animale rendendolo domestico? La domesticazione è un vantaggio o una violenza? Personalmente sono strenuamente convinta che ogni animale debba essere libero di vivere la propria natura e auspicherei una completa liberazione degli animali da ogni reclusione o sfruttamento da parte di noi umani. Ma questa liberazione coinvolgerebbe anche gli animali domestici? Ci troveremo così in un futuro a non condividere più le nostre case con altri animali, perché siano “liberi”? Certo di fronte a un animale bisognoso credo che la maggior parte di noi non si porrebbe il problema: è doveroso aiutarlo e offrire riparo e sostegno.

Sono d’accordo e mai potrei tirarmi indietro. Ma anche qui, quella vocina che prima semplificando ho chiamato morale chiede, incessante: è giusto il nostro intervento, o dovremmo piuttosto chiamarlo interferenza? Nella testa è il caos. Per fortuna il cuore di ognuno di noi fornisce la via da seguire. La mia via, personalmente, è quella di mettere prima di tutto il benessere e il diritto alla vita immediato di un animale, che mi porta quindi a “giustificare” sopra tutto il soccorso e diciamo il reciproco amorevole opportunismo della convivenza con un animale. Non dimentichiamo che molti animali sono stati privati proprio da noi umani della porzione di natura sufficiente a garantire loro habitat e comportamento secondo la propria specie e pertanto, in qualche modo, dobbiamo porre un possibile rimedio. Si pensi che dal Neolitico, che inizia circa 8.000 anni a.c e vede l’inizio di agricoltura e addomesticamento da parte del’Homo Sapiens, all’epoca circa 10 milioni di individui, a oggi in cui si contano oltre 7 miliardi di umani, i tassi di estinzione sono aumentati da cento a mille volte rispetto ai 60 milioni di anni precedenti.

Prendendo come esempio i canidi,  come possiamo leggere in Richard C. Francis – “Addomesticati. L’insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo”, l’uomo è stato altamente impattante sulla natura e sugli altri animali: nel giro di 15.000-30.000 anni la selezione imposta ai cani dall’associazione con l’uomo ha causato alterazioni evolutive mai subite dalla famiglia dei canidi nei 40 milioni di anni precedenti (pag. 10). Francis osserva che ad estinguersi sono gli antenati selvatici, ma che nessuna specie addomesticata si è estinta: “in senso evolutivo, farsi addomesticare ripaga” (pag. 9), pagando per contro il prezzo di una crescente sottomissione. Ciò è bene o male? Io non ho mai avuto occasione di osservare un Dingo, ma l’ho preso come simbolo per questo pezzo proprio dal testo di Francis: perché il Dingo rappresenta, nel rapporto uomo-altri animali, il processo esattamente inverso alla domesticazione, il processo di ferinizzazione, essendo storicamente infatti un cane che si è re-inselvatichito. Avrà perso o guadagnato? Certo non si può ignorare quanto scrive Peter Singer in “Liberazione animale” a seguito di documentati studi su animali in cattività: osservando molte galline che dispongano di cibo in abbondanza all’interno di una gabbia e di uno spazio aperto recintato per il loro movimento, la maggior parte preferisce un recinto senza cibo a una gabbia con del cibo.

Simona Carmenati

Da sempre convinta che la cosa più importante e appagante sia essere e restare natura, la mia più grande passione è l’osservazione degli animali selvatici e in generale la relazione con gli animali più domestici. Mi dedico a diffondere la...
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