Lo stambecco viene dato per scontato perché non è difficile da osservare, non scappa ed "è un caprone".
Quando mi trovo al cospetto di questo animale io, invece, provo un grande senso di ammirazione e percepisco un legame profondo con questa specie.
Mi viene in mente la carne di stambecco, che Ötzi (l'uomo trovato sul ghiacciaio del Similaun) si portava in giro oltre cinquemila anni fa, prima di farsi uccidere da una freccia.
Mi vengono in mente le pitture rupestri della grotta Cosquer in Francia, dove adesso si accede con una complicatissima immersione e dove però, già ben trentatremila anni fa, con il mare più lontano qualcuno strisciava in un cunicolo lungo 120 metri per poi disegnare con precisione assoluta gli stambecchi sulle pareti, in mezzo a cavalli e altri animali.
Penso al destino beffardo della sua salvezza dall'estinzione grazie a una riserva di caccia reale, e al fatto che lo diamo per scontato ma così scontato, tra consanguineità e cambiamenti climatici, non lo è affatto.
Ma soprattutto molto spesso non penso: me li godo, maestosi e nodosi come vecchi alberi, mentre non fanno nulla di nulla, perché l'ozio in natura è un lusso raro, da apprezzare.