Nella letteratura medievale la donna che conquista l’uomo a tutti i costi e arriva anche a rapirlo è una fata. Non una strega (parola che preferiamo usare oggi e che tante femministe hanno rivendicato) ma una fata. E poi?
La fata, nella letteratura, è una creatura che appartiene al soprannaturale.
Il personaggio della fata deriva dalla antiche parche e dalle antiche ninfe, e piano piano diventa autonoma nei racconti. Ciò che appartiene a un mondo soprannaturale che non è cristiano, nel Medioevo, non scompare; semplicemente cambia campo d’azione: dalla religione, gli esseri “fatati” passano così alla letteratura.
La fata è colei che cattura un cavaliere, un eroe, perché lo ama e lo vuole per sé. Solo in un mondo soprannaturale una donna può desiderare un uomo e volerlo contro la volontà di lui. Solo in un mondo soprannaturale, per la cultura del Medioevo, una donna decide in base ai suoi sentimenti amorosi.
La figura della fata Morgana nella letteratura medievale rappresenta quindi le azioni che si fanno in preda a quell’amore “selvaggio” che non conosce le regole cortesi.
La Sibilla dell’Appennino che viene raccontata nel Guerrin Meschino e nel Paradiso della Regina Sibilla è, anche lei, una creatura soprannaturale che cerca di trattenere con sé i valorosi eroi protagonisti dei due romanzi. Anche lei indossa le vesti della fata.
Anche lei, come accadrà per le fate della letteratura, diventerà una strega malefica e un personaggio inquetante nel momento in cui l’utraterreno non cristiano verrà concepito come regno del diavolo.
Le fate restano nei racconti orali, nelle storie popolari che poi diventano fiabe, e così anche la Sibilla, demonizzata nella letteratura ufficiale, testimone della venuta di Cristo per la cultura cristiana, trova pure una terza via per restare presente nelle vite della gente. La terza via è il racconto orale, la tradizione, che consegna una sibilla buona, una figura postivia che insegna e protegge gli abitanti dei Sibillini.