“Animalista” è un termine che non mi piace un granchè. Definisce correntemente una persona che si dedica attivamente alla cura e alla difesa degli animali, e ha sicuramente il merito di indicare, oltre a una attitudine assolutamente condivisibile, anche un riflesso della società, in cui è ormai maturata la consapevolezza della necessità di una ridefinizione del rapporto uomo/animali. L’”animalista” infatti rivendica istanze etiche e giuridiche nella tutela degli animali.
Quello che non mi piace è una chiusura sottilmente celata nell’utilizzo della parola, con cui mi sono scontrata appena entrata nel mondo dell’attivismo. Mi è stata sbattuta in faccia subito, quando piena della mia passione per il mondo della natura e degli animali e mossa esclusivamente dal desiderio di fare concretamente qualcosa a loro difesa, ho iniziato a lavorare presso un’associazione con scopo la salvaguardia di natura e ambiente. In particolare, si lavorava su un progetto di tutela e ripopolamento di rapaci notturni e su un servizio di soccorso e cura di animali in difficoltà. Di fronte al mio interesse prioritario per il benessere dell’animale, è piovuta lapidaria questa frase “qui si fa ambientalismo, non animalismo”.
Ovvero, semplificando, ma sintetizzando nella sostanza, non interessa salvare la vita o la salute di un animale, interessa guardare a maggiori possibilità future. Solo un esempio (reale) indicativo: se per avviare un progetto che tuteli i bacini idrici e la nidificazione di uccelli acquatici è vantaggioso, in termini di appoggio nella fattibilità della cosa, stringere accordi con i cacciatori che beneficeranno, quindi, di un maggior numero di volatili a cui sparare, viene privilegiato questo accordo.
Perché ne beneficerebbe l’ambiente nel complesso, quelle vite saranno vittime necessarie. Davvero? Solo questo chiedo: davvero? Ma perché mai la tutela della vita animale deve essere separata, anzi entrare in conflitto con la tutela dell’ambiente – del suo ambiente? Non è un controsenso pazzesco? Non si può amare l’uno senza l’altro, non può esistere l’uno senza l’altro. Perché mai deve esistere questa puntualizzazione nel definirsi “ambientalisti” piuttosto che “animalisti”? Senza voler essere irrealistica, sono convinta che un senso e un uso più dignitoso e più produttivo della politica possa esistere. Come dicevo, non mi piace particolarmente il termine “animalista”. Perché trovo assurdo dover fare questa differenza, questa separazione. Citando dal web (mi scuso ma non ho trovato riportata la paternità di questa frase), non amo definirmi “animalista” più di quanto non mi definirei per esempio “bambinista”: perché dovrebbe risultare normale mettersi sempre e comunque a protezione di chi è più indifeso, di chi lo necessiti; perché dovrebbe essere normale amare la purezza e la bellezza. Essere “animalista” dovrebbe essere la normalità, non una distinzione.